lunedì 31 marzo 2014

Un affanno tra le righe...

Ieri leggevo un articolo scritto da un'americana - medico, yogini ed esperta conoscitrice di discipline olistiche - che raccontava di come un anno fa avesse scoperto di avere un tumore e di come avesse vissuto e affrontato la malattia. L'articolo, che raccontava tra l'altro della notevole presenza di spirito dell'autrice nel prendere in mano la sua situazione e, soprattutto, nello sconfiggere il male che l'aveva colpita, era tuttavia principalmente incentrato sul concetto: "Ho fatto tutto giusto, ho sempre condotto una vita sana, non ho una predisposizione genetica, non ho tenuto condotte a rischio, eppure mi sono ammalata lo stesso."
Mentre lo leggevo attentamente, non ho potuto fare a meno di scorgere una sorta di affanno: non - e sarebbe certamente stato oltremodo comprensibile, se non inevitabile forse -  in relazione alla malattia, alle cure subite, allo spavento, alla preoccupazione, ma con riguardo al suo stile di vita, al suo essere vegana, alle ore di pratica e di meditazione, alle sue conoscenze mediche allo- e omeopatiche, al suo essere molto amata e al suo molto amare, alla sua professione, alla sua schiera di amici fidati, al suo essere sempre di buonumore.
Un senso di affanno, di sforzo intenso sembrava accompagnare la descrizione delle sue scelte e delle sue abitudini, come se pur nella consapevolezza della bontà delle stesse, il rispettarle avesse costituito più una disciplina autoimposta che uno sviluppo naturale delle sue propensioni.
Si avvertiva tra le righe una sorta di attrito tra ciò che per lei era bene essere e fare, e un qualcosa nel profondo che pareva essere affaticato da questo regime. 
E così mi sono ritrovata a riflettere su qualcosa a cui ho sempre creduto: non è tanto cosa facciamo o non facciamo che fa la differenza (in questo caso in termini di prevenzione della malattia), bensì la nostra propensione spirituale, il nostro reale allineamento di anima, cuore e corpo a ciò che facciamo. La scelta più salutare può non avere effetti se ci induce a contrarci, a sforzarci, ad affannarci, se crea un attrito con il flow in cui siamo immersi. Non dico che sia questa la ragione per cui l'autrice in questione si è ammalata (sarebbe insensato, presuntuoso, pretestuoso e assolutamente privo di fondamento sostenerlo da parte mia), si tratta solo di una riflessione sorta da un feeling che il leggere le sue parole mi ha suscitato.
Come a dire: si sa che lo yoga - per parlare di quanto più conosco e mi sta a cuore - è un'attività sana e ricca di benefici, ma se una persona si accosta alla pratica solo perché sa che fa bene ma in cuor suo la vive come distante dal proprio modo di essere, ho seri dubbi che quei benefici possano davvero estrinsecarsi appieno nella vita di quella specifica persona. Anzi, l'ora di pratica potrebbe snervarla, alterarla, annoiarla, allontanarla dal proprio benessere e dal proprio sentirsi nel flow della vita e dell'esperienza. Personalmente è accaduto anche a me, sia nella pratica sia in relazione ad altre scelte salutari di vita, che mi hanno vista alla fine abbandonare certi percorsi, scoprirne altri, percorrere nuove strade, e infine, in alcuni casi, pure approdare - con nuova consapevolezza e nuova predisposizione d'animo, però, e questo non va sottovalutato - sulle strade inizialmente abbandonate perché all'epoca in distonia col mio vero essere.
C'è una cosa, credo, fondamentale in ogni scelta che compiamo: il nostro sentire più profondo. Stiamo bene? Ci sentiamo felici, soddisfatti e appagati (a praticare yoga, a scegliere un regime alimentare vegano, a meditare mezz'ora ogni mattina, a vivere a impatto zero...)? O ci sforziamo e autoimponiamo una disciplina che non ci richiede solo dell'impegno (come ogni disciplina o scelta che si rispetti) ma anche dei sacrifici che forse sono (per il momento o in questa situazione) troppo onerosi per noi? Il corpo si ammala, si sa, quando c'è una seria perturbazione del suo equilibrio, quando l'armonia del nostro essere si incrina o si altera. Il corpo, anche questo si sa, è in grado di mandarci i messaggi utili a farci riconoscere se qualcosa non va: sta alla mente coglierli, e alla nostra consapevolezza operare quelle scelte che riportino equilibrio e armonia. E la mente può riuscire a cogliere i messaggi se ascolta il cuore e le emozioni: il senso di benessere e di gioia che ci pervade quando stiamo operando in sintonia con la vita, il senso di ristrettezza e di tensione che accompagna talvolta altre nostre azioni, sebbene "sulla carta" positive e assennate.
È, alla fin fine, credo almeno, sempre e di nuovo una questione di porsi in ascolto attento, open-minded e ricettivo del nostro sentire, e di agire sulla scorta del nostro istinto e di quelle emozioni più profonde che proprio l'ascolto ha portato alla nostra piena consapevolezza.