lunedì 24 marzo 2014

Chi comanda qui?

Ora di cena. La madre al figlio: "Mangia ancora qualche forchettata, dai..." Il figlio tentenna, non ha voglia. Lei insiste, e sorridendo, per calcare un po' la mano, dice: "Chi comanda qui?" E lui: "Io, per il mio corpo."

Saggezza infantile, saggezza profonda.

Io in questi giorni mi sento come quel figlio: so cosa voglio, so cosa vogliamo, ma i nostri interlocutori, professionisti del settore di cui trattasi, pensano di saperlo meglio di noi. Ora, se certamente le loro maggiori competenze tecniche e capacità immaginative sul tema non sono certamente oggetto di discussione, nel momento in cui entriamo nel campo dei gusti, delle esigenze, dei feeling, delle sensazioni ricercate, il passo indietro da parte loro credo sia doveroso. Ti interpelliamo per le tue conoscenze, per la tua abilità, per la tua capacità di tradurre visioni in realtà, ma siamo noi a interpellarti, è la nostra visione a voler essere concretizzata, e la nostra visione merita rispetto. Non sappiamo tradurla in opera senza il tuo prezioso aiuto, ma questo non ti legittima a ignorarla o a stravolgerla per fare sfoggio dei tuoi gusti, della tua fantasia, delle tue visioni. 

E' come se io accogliessi in una mia classe di yoga una persona che si aspetta di praticare ashtanga, perché desidera praticare proprio ashtanga, e cercassi di convincerla a praticare lo stile che insegno, comunque e a ogni costo. Al di là del perdere ovviamente il cliente - conseguenza più ovvia in questo caso, in altri settori magari meno scontata - mi comporterei in modo eticamente e deontologicamente discutibile. 

Chi abbiamo di fronte sa cosa vuole, e noi, professionisti di qualsivoglia settore, noi possiamo permetterci minimamente di ignorare il bagaglio di aspettative, di idee, di emozioni e di sensazioni che le persone portano con sé, e i fini a cui tendono le loro iniziative e azioni.

La frustrazione che ho provato in questi giorni, dove ogni nostra parola e ogni nostro desiderio sono parsi inascoltati, nonostante siano stati coltivati e ponderati con cura, nonostante siano ciò che le nostre menti prefigurano da anni, nonostante siano i famosi paletti entro cui i professionisti sono stati chiamati a muoversi per davvero procedere a un atto creativo, ecco, quella frustrazione, che in certi attimi mi ha resa feroce nelle mie riflessioni e osservazioni, reca con sé molteplici insegnamenti: quello, ovvio soprattutto per chi vive lo yoga, di praticare maggior distacco e maggior gentilezza d'animo; quello del valore che le nostre visioni e sensazioni hanno per ciascuno di noi: come quel bimbo che istintivamente sa di essere lui il comandante del proprio corpo (nonostante spesso a quell'età non si tratti di una realtà così autoevidente), così ognuno di noi sa nel profondo cosa cerca, cosa lo fa stare bene, quali sono le azioni e gli esiti a cui il suo essere più vero di volta in volta aspira; e quello, infine, del rispetto che noi professionisti dobbiamo a chi si rivolge a noi per le nostre competenze, e - unito al rispetto - quello dell'ascolto attento di cui è bene che diveniamo esperti praticanti, per poter davvero rendere un servizio al nostro prossimo che sia utile e appagante e che renda realmente onore alla nostra professione, qualunque essa sia.