domenica 28 settembre 2014

Waiting for the stars to shine...

Le cerco e non le trovo.
Scruto in alto, qualche lucina soffusa mi sorride, offuscata dal bagliore della città che si proietta in alto, sfumando tutto con un velo pallido.
Ho nostalgia, lo ammetto, tanta e terribile, di quelle notti d'estate trascorse con il naso all'insù, la testa sprofondata nelle braccia conserte dietro la testa, lo sguardo che si inoltra nelle profondità e si avventura lontano, attratto dalle luci scintillanti e dal buio più profondo.
Ho nostalgia del tempo che si dilata all'infinito, della mente che si placa, dello stupore che si fa largo, del senso di immensità che mi invade sollevandomi da terra, sciogliendomi nel Tutto.
Ho nostalgia del vento che accarezza il volto, del rumore del mare, del bisbigliare delle fronde, delle sinfonie sempre nuove, sempre armoniche, che la natura ci dona, colmando il silenzio, per poi sfumare per farcelo sentire, davvero, il silenzio.
Ho nostalgia del sentirmi piccola piccola sotto il cielo immenso, perché quel sentirsi piccoli è in fondo un sentirsi grandi, della stessa materia di cui sono fatte le stelle.
Osservo le mie mani sulla tastiera, guardo lo schermo, sento il clic-clic dei tasti... 
Ascoltare il mio cuore, dargli voce, è già tanto, è essere consapevole, è riconoscere un sentimento che mi pervade, è sapere che sento una mancanza, è cercare di colmarla.
Le cerco lassù, tra i bagliori della città, e non le trovo. 
E allora oggi sono rimasta quaggiù, ho comprato il biglietto, mi sono seduta... e saran solo proiezioni, saran solo foto... ma hanno rinsaldato la mia volontà di continuare a cercarle, di sentirle vive e vibranti nella mia vita, di scrutare il cielo, di assorbirne la luce, di sondarne le profondità.


Un pomeriggio al planetario...
Waiting for the stars to shine.


mercoledì 24 settembre 2014

Pensieri che scorrono nei primi giorni di autunno

E' autunno, è arrivato.
Settembre corre sempre, più di ogni altro (paradossalmente) il mese dell'inizio, delle attività che riprendono, dei corsi da prenotare, degli abbonamenti da rinnovare, degli impegni da pianificare.
Settembre corre, e noi con lui, proiettati verso l'autunno, verso la stagione in cui la natura si ritrae in se stessa, gli animali selvatici accumulano provviste nei boschi per i mesi freddi del letargo, tutto si prepara ai lunghi giorni di buio e di quiete, in un andirivieni, un movimento costante, un turbinio di foglie nel vento.
Quelle foglie che si fanno croccanti, i colori a riscaldarsi come a voler restituirci un po' di quel fuoco che il sole ora donerà all'altro emisfero, in quell'alternanza magica che sono le stagioni. 
E un poco sfasa questo sentirci all'inizio (l'inizio del nuovo anno scolastico per molti di noi resta come l'inizio vero, tangibile, pratico dell'anno), quando in realtà siamo nel ciclo della fine, della natura che ha compiuto il suo viaggio attraverso le stagioni, del raccolto dei frutti, del ritorno al buio da cui poi tutto originerà di nuovo.
Nelle città un po' tutto questo si perde. Restano le foglie sui  marciapiedi e la parabola del sole a ricordarci tutto ciò, e il freddo che lentamente si insinua tra gli stipiti e i vestiti.
Cerco nell'aria, nel cielo quel contatto con la natura, quel contatto che durante l'estate mi ha restituito molto, e comunicato molto di nuovo. Quel dialogo col mare, quel silenzio dei monti, quello stupore davanti ai cieli stellati, quello specchiarsi nella luna.
Cerco, e so che la ricerca vera è dentro di me. Verso quel nucleo profondo da cui tutto si diparte, che tutto ascolta, che tutto comprende.
Viviamo di ruoli, di pensieri, di luci e ombre, di emozioni, Siamo presi in mille cose, attività, impegni, relazioni, viaggi, percezioni che in ogni istante si fanno strada in noi, a livello cosciente e nel sottobosco fitto dell'inconscio, come semi che magari un giorno germoglieranno, ricoperti dalla terra e dalle foglie di questo autunno ancora acerbo.
A volte ci perdiamo, altre vorremmo aver dato e fatto meglio e di più, altre ancora siamo un po' immobili, perplessi. 
La vita ci offre occasioni innumerevoli per essere, per viverci, per esprimerci. Non sempre siamo soddisfatti della nostra espressione nel mondo. Ma anche questa "imperfezione" ha un valore. Ieri insegnando sentivo una qualità sfuggente delle mia presenza. C'ero, ma avrei voluto esserci meglio. Un suono distonico, che forse solo io ho percepito, ma che mi ha disturbata per le ore a seguire. La realtà è che nella nostra umanità dobbiamo fare i conti con le nostre naturali fluttuazioni, di umore, di centratura, di presenza. Strattonati spesso tra le nostre manifestazioni e i nostri ruoli, il nostro centro talvolta si sfilaccia, per esserci ovunque, contemporaneamente. Ci vuole pazienza, dedizione e mestiere per comprendere, apprendere, lasciare andare anche questo.
Consapevoli che dentro di noi pulsa quel nucleo autentico, unico, profondo, che ci riconnette con noi stessi e con l'infinito, ogni volta che ci rivolgiamo a lui, ogni volta che guardiamo il mondo, ascoltiamo, respiriamo, ci esprimiamo attraverso di lui. 


lunedì 22 settembre 2014

Food-issues o consapevole libertà?

Sai quando hai un argomento che ti frulla in testa, e vorresti metterlo giù a parole, in un modo consono, accattivante e comprensibile, e più ci provi più il tutto risulta inchiodato e stucchevole? E non è che puoi abbandonare, perché in fondo è una cosa che vorresti condividere, ci vedi del potenziale di interesse e comunque ti piacerebbe scriverne. E giri, rigiri, provi e riprovi, ma non trovi quell'incipit, quello slancio che ti è proprio. Ecco, a quel punto ti restano due vie, come blogger: desistere (e rimandare a tempi migliori) oppure scrivere di getto, con buona pace dello stile e della consecutio temporis. 
Così, oggi si parla di alimentazione. Del nostro rapporto col cibo. Di quel rapporto sotto i riflettori per molte ragioni (dalle patologie - allarmanti e diffuse - legate a disagi psichici, alle questioni relative a OGM, carne bombata di ormoni e similari, alle scelte di diete vegan, paleo, crudiste...) e che per molti rappresenta quotidianamente una sfida, si tratti di questioni dietetiche, estetiche, di allergie o  di intolleranze alimentari.
Insomma, il cibo nell'epoca dei "foodies" è al centro dell'attenzione. Così può accadere che una cara amica ti osservi e ti dica: "Tu hai un rapporto controverso col cibo." E tu resti di stucco. Io? Io che mangio in serenità quel che mi va, che non ho particolari intolleranze, che amo cucinare, che da quando ho memoria non ho avuto un problema di peso (sovra- o sotto-), che in famiglia sono la "nutrizionista" di riferimento? Io? Rapporto controverso? 
Approfondiamo, e lei spiega: "Sai, ci sono persone che sono disinteressate al cibo, mangiano perché devono, altre che lo venerano, altre ancora che regolarmente si abbuffano. Tu invece oscilli, a volte sembra interessarti e appassionarti, altre volte no, a volte mangi dolci di ogni tipo, altre un'insalata o poco più, tipo curva sinusoidale...".
E allora capisco. E capisco anche che ormai ci hanno talmente abituati a considerare regolarità e uniformità di comportamento come normalità, che il mio muovermi con libertà e scioltezza quando di tratta si nutrirsi, appare sconclusionato e sintomo di un rapporto problematico col cibo. Per carità, in alcuni casi può anche essere che un atteggiamento del genere sottenda un disagio. 
Ma anche no. Quanto meno non nel mio e, credo, nemmeno nel caso di molte altre persone.
Riflettiamo: cos'è il cibo? Il cibo è il nostro carburante, una delle nostre fonti primarie di prana, di energia, insieme al respiro (tralasciamo qui di menzionare le altre fonti di energia, più sottili e che spesso agiscono nella nostra totale inconsapevolezza). Mangiamo per nutrirci, per poter mantenere il nostro corpo in salute, per poter compiere le nostre attività con la giusta carica e un'adeguata riserva di energia. E il nostro dispendio di energia, come ci insegna mirabilmente l'ayurveda (l'antica scienza indiana della vita)*, dipende sì dalla nostra particolare e unica costituzione fisica (prakriti), ma non solo. Anche l'ambiente ha un ruolo fondamentale. E intendo l'ambiente in senso lato: il dove ci troviamo, il come e con chi, ma anche il quando. La stagione, ad esempio, ha un impatto fondamentale sui nostri processi corporei, soprattutto alle nostre latitudini in cui c'è grande variabilità climatica, implicando che, nel corso del tempo, il nostro corpo debba adattare al clima (caldo, secco, umido, freddo etc.) le sue modalità di mantenimento dell'omeostasi interna e del conseguente stato di benessere. E "stato" è una parola grossa, perché la vita è intrinsecamente un processo dinamico, e quindi anche l'equilibrio (che in questo contesto possiamo usare come sinonimo di benessere) è un processo naturalmente dinamico.
Quindi?
Quindi chi l'ha detto che avere un rapporto "liberamente fluttuante" (nei limiti della ragionevolezza!) con l'alimentazione sia problematico? E se si trattasse invece, della capacità del corpo di scegliere giorno per giorno, momento per momento ciò che è bene per lui? 
Parlo della mia esperienza, e posso confermare che è così. Nel mio caso, almeno. Il mio è infatti un approccio al cibo totalmente consapevole e cosciente. Volutamente non prestabilisco in modo rigido il mio stile di alimentazione, che è per sua natura molto vario. Posso dire che in generale non mangio altro che frutta prima delle 11, che tendo a seguire una dieta semi-vegetariana (il pesce fa parte abituale della mia dieta), che da sempre la merenda del pomeriggio è un must, e che non amo abbuffarmi. Ma posso anche dire che: mi piacciono i dolci (tanto); cappuccino e brioche sono una grande invenzione; se mi invitano a cena e ci sono salumi o ragù non mi formalizzo; il vino è cosa buona e giusta (nei limiti!); e, nel contempo, tendo a rispettare il mio adorato #VeganMonday (tradotto: di lunedì nessun alimento di origine animale, nessuno). Ho un rapporto controverso col cibo?
No. Esploro, sperimento (come nel caso del #VeganMonday o del "solo frutta fino alle 11": ho provato, per curiosità, e ho poi mantenuto l'abitudine per gli enormi benefici che ne traggo), e soprattutto ascolto. Ascolto il mio corpo, la mia mente, le mie emozioni: come sto? cosa mi serve? E di conseguenza mi alimento, nel "qui e ora" delle mie esigenze. E così, se come sabato pomeriggio mi sento debole, il cupcake con il Mars (giuro, una bomba chimico-calorica di cacao, farcita dentro e fuori di Mars, ma veramente ottima) diviene un booster di energie prezioso; e se dopo una mela a colazione e due ore di insegnamento di yoga, mi mangio quattro tranci di pizza, non mi considero "out of control" ma anzi in piena consapevolezza che, sì, un simpatico reintegro di carboidrati ci sta proprio.
Che poi, in fondo, è ciò che è bene fare anche quando si pratica, e sopratutto, quando si propone in qualità di insegnante, una pratica yoga: a seconda dell'orario, del periodo dell'anno e dell'energia della "sala" (intesa come energia delle persone che praticano con noi) ci sono sequenze e asana più o meno appropriate, si opta per vinyasa più solari o più lunari, si offre un'esperienza il più possibile in sintonia con il "qui e ora". Energia che si muove, sempre, così come nella pratica così  nell'alimentazione.
Ovviamente ci sono persone che necessitano di diete più rigide e programmate, per vari motivi, ed è bene che le seguano con rispetto e con perseveranza. Ma in base alla mia esperienza, e a quella di altri con cui ho condiviso queste riflessioni, mi sento anche di dire che nel momento in cui si porta la consapevolezza nelle proprie scelte, anche e in primis in quelle alimentari, la necessità di regole ferree viene meno. Il consapevole ascolto del corpo ci fornisce tutte le indicazioni per orientarci e scegliere la qualità dell'energia di cui necessitiamo in quel momento: un frutto, leggero e vitaminico? zuccheri semplici perché per questa volta abbiamo bisogno di extrapower? siamo con amici e chisseneimporta al salame per una volta non si dice di no? Un mio stimato insegnante di yoga, che avevo conosciuto come strettamente vegetariano fino ad allora, una sera a cena mi dice: "Io mi sa che ordino una tagliata. Sento che il mio corpo necessita ora di proteine animali." Ed eccezionalmente gliele ha concesse.
Anni fa, dopo un lungo viaggio in pullman per andare in gita scolastica, arrivai a destinazione con una gran nausea. Non passò per due giorni. Poi, il terzo pomeriggio, camminando casualmente davanti a una gelateria, mi fermo e dico alla maestra: "ecco cosa mi ci vuole: un gelato al mirtillo." La maestra era perplessa, con la nausea non le pareva una buona idea. Lo comprai, lo mangiai. E stetti subito bene, niente più nausea, solo benessere. Da quel giorno non ho mai smesso di ascoltare il mio corpo, e, possibilmente, di dargli ciò di cui ha bisogno.
Qualche anno fa, in un periodo di forte stress, iniziai ad avere i sintomi di un'intolleranza al lattosio. Feci tutti gli esami clinici, ma non emerse nulla di significativo. Certamente i miei disturbi avevano un'origine psicosomatica, ma altrettanto certamente erano accentuati dai latticini, che avevo sempre digerito senza problemi. Mi posi in ascolto. Mi resi conto di aver cercato di ignorare per troppo tempo il reclamo del mio corpo, e di aver testardamente cercato di "coccolarmi" con quei cappuccini e con quei biscotti che erano, in quel momento, il mio comfort-food. Ma lo erano solo per la mente, il corpo reclamava. Lo ascoltai, e iniziai un periodo di "disintossicazione" dal lattosio, e solo quando mi sentii meglio reintrodussi pian piano formaggi e similari. Fu un periodo importante: capii molte cose di me stessa e dell'imbuto emotivo in cui mi ero cacciata, e compresi ancora meglio di prima il potere di autoguarigione del corpo, che si innesca quando davvero e consapevolmente ci mettiamo in ascolto.
Certo, talvolta mi accade di essere incauta, e allora magari anche io eccedo, nel dare o nel sottrarre, ma è la vita, è umano, è comprensibile. Ma poi la consapevolezza torna a far luce, e in pochi momenti l'equilibrio è ristabilito, e si ritorna nel flow, energia che si nutre liberamente e coscientemente di energia, in quel continuo moto di cambiamento che è la vita.



*L'ayurveda è una mirabile, complessa e vastissima scienza, la cui conoscenza richiede anni di approfonditi studi. Il suo richiamo in questa sede è puramente generico e riferito ai tre dosha (kapha, pitta e vata), le energie vitali che, tra l'altro, permeano il corpo fisico e predominano nelle diverse stagioni, dando luogo a specifici accorgimenti per il mantenimento di un salutare equilibrio.

martedì 9 settembre 2014

Cedevolezza

Interno giorno. Temporale, un muro d'acqua che si abbatte sulla città. Finalmente la natura che irrompe prepotentemente anche nella vita cittadina, e per me, yogini metropolitana in astinenza di quei sole, mare, monti, cielo e stelle che mi hanno accolta e accudita in queste ultime settimane, è un momento da celebrare, da onorare, nel modo migliore che conosco. La pratica Yoga.

Interno giorno. La pioggia si acquieta. Savasana. Il corpo immobile, il respiro lento, la mente silenziosa. L'abbandono. La terra mi sostiene, l'aria mi nutre, non mi serve altro. Scivolo in profondità, in quel luogo di pace e di luce che mi accoglie senza riserve, senza timore. Scivolo nella luce, nuvole di colore che si espandono al ritmo del respiro. Scivolo senza meta, senza attese, senza pretese.

Sono qui. Qui, ora. In questa luce, in queste spire di indefinita bellezza. Qui, ora. Nell'unico luogo e istante reali. Qui, ora. E tutto è facile, ovvio, risolto. Non c'è nulla da cercare, nulla da recriminare, nulla da temere, nulla da fuggire. Qui, ora. E' tutto ciò che c'è. Ed è immensità, ampiezza, spazio, espansione. Qui, ora. E tutto il resto appare una danza, intricata e spettacolare, ma uno spettacolo, appunto, sullo sfondo di una quinta di cielo, nubi e stelle immensa. Qui, ora. In cui tutto riluce e nulla stride. In cui ogni cosa è come è, io sono come sono. Qui, ora. E tutto è Uno.

Interno giorno. Raggi timidi tra la coltre di nubi. E lo sguardo si posa con nuova grazia, i passi si muovono lievi, la mente si riaffaccia curiosa.

Namasté.





domenica 7 settembre 2014

#SummerInYoga 2014



E' tanto tempo che desidero scrivere. Scrivere delle emozioni e delle esperienze delle ultime settimane, dei tanti insegnamenti giunti a me nei modi più inattesi, del flusso della vita che mi sorprende ogni giorno con la sua sapienza e con la sua determinazione. Ma il momento non arrivava mai, e le sensazioni volatili così come i vissuti più profondi si sono susseguiti come gocce di rugiada che imperlano le foglie al sorgere del sole, scintillanti, gioiose, uniche.
Ci sono state pratiche intense, con le parole di Sri Pattabhi Jois, il padre dell'Ashtanga Yoga, che hanno accompagnato quelle ore di lavoro su me stessa. "Practice and all is coming". E ci sono stati i risultati, se così possiamo chiamarli, di quell'impegno e la dimostrazione di quelle parole, tangibile e concreta. Un salto quantico ulteriore in una pratica yoga che coltivo da così tanti anni, e che ogni giorno svela le sue infinite possibilità, le direzioni innumerevoli in cui la dedizione può dispiegarsi.
Ci sono state le letture, scelte con cura a spaziare in campi nuovi, perché è bene nutrirsi di ciò che non conosciamo e che ci attrae, o che si presenta a noi con tale forza e magnetismo che non possiamo esimerci dall'indagare. Letture che hanno svelato nuovi scenari, e anche loro, nuove infinite possibilità di declinare la pratica, di indirizzare lo sguardo, di respirare la vita. 
Ci sono state riscoperte di antichi modi di accostarsi allo yoga, un ritorno alle mie origini, e le pratiche nel totale silenzio dei monti, con solo il respiro del vento tra i meleti e la voce lontana del fiume.
Ci sono state ore di meditazione, momenti che si sono insinuati nelle sequenze più fisiche, portando all'immobilità, una richiesta di mente e corpo all'unisono. E così l'ascolto più profondo, going deep into the heart, going deep into the soul.


Ci sono state le ore del tramonto sugli scogli, surya namaskara a susseguirsi, con le ruvide rocce sotto le mani e i piedi, gli allineamenti in adho mukha svanasana ad adattarsi all'irregolarità della base, il fragore delle onde a dissolvere i pensieri, il vento a danzare con me tra un asana e l'altra. Con la Yoga che diventa free-style e il corpo che si muove dal centro, da dentro, sospinto dalla sua stessa intelligenza, dalla sua stessa forza che si esprime.
C'è stato il respiro, e il battito del cuore. Quel battito da ascoltare, quel battito che ci parla di noi più di ogni altra cosa, quel battito da rispettare e onorare. 
Ci sono state candele accese, e luce nel buio. La luce della luna, quella Super Moon che ci ha accompagnato nelle sere d'estate ricordandoci la magnificenza del cielo e dell'Universo.
Ci sono stati i miei mala, pietre dure scelte con cura, annodate tra loro con attenzione, creazioni del cuore e dell'anima.
Ci sono stati i pensieri sospesi, le preoccupazioni accantonate, il "qui e ora" prorompente a prendersi la scena, e a lasciare nell'ombra tutto il resto.
Ci sono stati la vita, e gli incontri, e le risate, e le chiacchierate spensierate. 
C'è stato l'incontro con chi ha fatto di un lavoro arte, arte del profondo, arte del riequilibro dell'energia col tocco delle mani e con la presenza in ogni gesto.
C'è stata la profonda riconoscenza per ogni attimo vissuto, ogni soffio di vento assaporato, ogni anima incontrata, ogni pratica esperita, ogni respiro, ogni battito del cuore.
C'è stato il desiderio di raccontare ogni istante e sfumatura, e l'impossibilità di farlo nel dettaglio, al momento, come avrei voluto.
Ma forse è stato meglio così. Che le sensazioni più delicate, le emozioni più vivide, i vissuti più intensi restino inespressi a parole, e solo l'atmosfera possa essere verbalizzata, richiamata col linguaggio, che mai mi avrebbe consentito di riprodurre e di comunicare la stessa intensità da me esperita in ogni istante sospeso nel tempo infinito.
Tra le righe l'atmosfera e il ricordo, la chiave di accesso a un mondo che palpita dentro di me, immagini e istanti indelebili di un'estate vera. My #SummerInYoga 2014.