venerdì 26 febbraio 2016

Aprirsi alla grazia


L'altro giorno stavo dipingendo. Mentre sono intenta a osservare l'espressione dei miei gesti sul mio taccuino sollevandolo e rigirandolo tra le mani per vedere meglio, il mio sguardo si posa casualmente sulla superficie di lavoro, su quel foglio di carta che uso per proteggere il tavolo dal colore che scivola e fuoriesce dai bordi dei dipinti.

E vedo.


Vedo qualcosa che assomiglia così tanto a quello che vorrei esprimere quando dipingo e che non "esce" mai come vorrei. E che invece - mentre lavoravo in questi mesi con gioia e con impegno a riprendere manualità dopo decenni di sosta, a scoprire tecniche, idee, frustrazioni e soddisfazioni - durante tutto questo tempo si imprimeva a mia insaputa su quel substrato ignorato e dato per scontato. Lì, silenziosamente, per un lungo anno la mia storia prendeva forma. E luce, e colore, e profondità.

E più guardo, più scorgo: forme, intuizioni, molteplici possibilità, profondità in cui perdersi.

Incerta, un poco, condivido l'immagine con la mia comunità di artisti, per sentire la loro voce. Una voce che mi restituisce, amplificata, la mia meraviglia.

E ritaglio quella porzione di foglio, ormai compiuta, più compiuta di qualunque pagina io abbia ritenuto tale.

Perché il suo messaggio è giunto al mio cuore forte e chiaro.

John Lennon diceva "La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti".

Ci siamo un po' abituati a questa idea di dover prestare attenzione e curare il nostro presente e la consapevolezza che gli riserviamo, a questa idea della vita che succede indipendentemente dalle nostre intenzioni, e a lasciare perciò che le nostre intenzioni si immergano in quel flusso di realtà che ci attraversa e che attraversiamo.

Ma c'è di più, c'è altro.

C'è la bellezza che si imprime nella vita proprio grazie a quei progetti che siamo intenti a perseguire, vadano o meno a buon fine. E la bellezza che nasce silenziosamente e gradualmente da quel nostro vivere, così pregno di gioia ma anche di sofferenza, di quelli che chiamiamo "successi" ed "errori", di passi avanti e di passi falsi, di orizzonti che si schiudono e di porte che sbattono e che si serrano per sempre.

Parlavo con un'amica l'altro giorno dell'opportunità di lasciare andare i condizionamenti che impressi nella nostra mente agiscono nelle nostre vite. Tendiamo sempre a vederli come disadattivi, qualcosa di cui liberarci per vivere una vita più libera e serena. Difficilmente focalizziamo però il nostro sguardo sulla bellezza che sotto sotto proprio quei condizionamenti possono aver intessuto. 

Così come la frustrazione di un dipinto venuto male lascia una traccia, magari quasi impercettibile, su quel foglio di carta trascurato, e così come quella traccia unita a migliaia di altre da vita a un dipinto che racconta una storia, così tutto quanto ci abita, ogni nostro vissuto, ogni decisione, i valori fatti propri e i condizionamenti ricevuti, imprimono tracce nella trama della nostra vita. E quelle sbavature, quei ghirigori della penna che non scrive, quell'eccesso di colore che sversa dalla tela, quel pennello che non viene pulito neanche a piangere, quel miscuglio venuto male... tutto questo, insieme, crea.

Crea la nostra vita, creando noi stessi di attimo in attimo, di gesto in gesto, di sussulto in sussulto.

E allora lo sguardo si volge in modo nuovo a guadare quel tessuto intenso che è la scia della nostra esistenza e l'immagine cui diamo forma, mutevole, in ogni istante: in quel momento il cuore si apre alla meraviglia e alla fiducia che ogni passo, ogni pensiero, ogni condizionamento sono una pennellata unica e irripetibile, e che nel disegno divino e universale siamo creatori, magnifici, in ogni istante. Creatori della nostra vita, della nostra esperienza, anche nella sua limitatezza, anche quando ci sentiamo goffi figuranti, anche quando agiamo il condizionamento del passato, consapevoli o no.

La nostra vita è meravigliosa così come è. Il che non implica che a 'sto punto non ci resta che acquattarci in un angolo lasciando tutto come sta, ma ci libera: ci libera dal bisogno e dalla tensione di cambiare qualcosa per forza perché sennò non saremo capaci di fare qualcosa di buono o di meglio. Ci libera dall'autocritica selvaggia e dal senso di inadeguatezza, perché anche se non ci sembrerà di essere grandi artisti, anche se ciò che facciamo ci sembra sempre non abbastanza, anche se il mondo ci invita a liberarci delle parti maladattive di noi, sotto sotto stiamo creando l'unicità del nostro Essere, la verità ultima del nostro vivere, la meraviglia del nostro passaggio. 

Ed è una libertà grande, quella di aprirsi alla grazia dell'esistere, dell'essere noi, qui, così, con le cicatrici e i pensieri ripetitivi, quelli che cerchiamo di eliminare e quelli di cui nemmeno ci accorgiamo, con la storia del passato iscritta nel DNA, con la possibilità di mutare il nostro modo di essere in futuro ma con la consapevolezza che se anche non dovesse accadere, non succede nulla. Nulla  di necessariamente  irrimediabile, nulla di così terribilmente brutto. Perché nel momento in cui ci schiudiamo a questo Amore verso noi stessi, verso la nostra umanità, non possiamo che schiuderci all'Amore e al rispetto verso l'altro, che procede anche lui per tentativi ed errori, le lenti del suo   guardare modellate dalla sua lunga, irripetibile, intensa e meravigliosa storia. E allora è bello e giusto continuare a tentare - continuare a dipingere e a migliorare, altrimenti quel foglio di carta, là sotto resterebbe vuoto - muoversi verso ciò che ci richiama, verso un'evoluzione del nostro essere e del nostro vivere: è sacrosanto, ma il non riuscire nei termini che noi di prefiggiamo non implica il vuoto o l'inutilità, ma è solo un'altra meravigliosa pennellata che di striscio colorerà il substrato più profondo della nostra vita, restituendoci quell'immagine in cui riconoscere e riconoscersi completamente.

Sat Nam.


mercoledì 17 febbraio 2016

Respirarci dentro...

... a quegli spazi. Anche nell'attesa, respirarci dentro. Con fiducia.

Durante, non sempre ci si riesce: la preoccupazione o lo spavento - dipende da cosa stiamo vivendo e in che ruolo - sembrano impedircelo. Se poi si sommano altri scossoni, altre notizie inattese, il respiro davvero si fa corto, teso, la testa si annebbia, tutto sembra vacillare rovinosamente. 

Ma appena si apre uno sprazzo di luce, respirarci dentro. Quei pochi attimi, e già ci si sente più saldi e più forti, più lucidi e più pronti. Pronti a sperare, pronti a incontrare nuovi spazi: dell'attesa e della speranza. O magari già della riemersione in luoghi più sicuri.

Ma respirarci dentro, assieme, è già tanto. E muoversi delicatamente, assieme, è quel danzare dolce e fiducioso che da un senso a tutto il resto. 

Il dono del respiro, la connessione profonda con lo spirito che ci anima è quel contatto di cui non possiamo fare a meno, quella luce interiore che pulsa in noi e che da dentro ci sostiene. 

E quando tutto si è sistemato, respirarci dentro, onorando quella connessione alla forza vitale e coltivando la nostra centratura nel nostro microcosmo interiore.


"May the long time sun shine upon you 
All love surround you
And the pure light within you
Guide your way on."


Sat Nam.




martedì 16 febbraio 2016

Attraversare lo spazio del dolore


Il cuore impazzito.
Le parole spezzate. 
Il vuoto che inghiotte.
L'urlare dell'angoscia.
Il silenzio soffocante.


Quanti i passi che rimbombano in questo spazio.

Inattesi. 

E inattesa giunge anche la compassione per quel vuoto sterile che ha posseduto un uomo, sorrisi di plastica a vendere fumo. E giunge, perché quel vuoto fa risuonare ancora più forte i bisogni veri, la gente vera, la presenza vera. Il fumo confonde. E ciò che è bruciato è l'autenticità. E sembra non c'entrare nulla con le lacrime cha asciughi, la speranza che cerchi di infondere, l'ascolto che offri. Ma quella compassione che è sorta dove meno te l'aspetti, in mezzo a un campo arido di rovi, è il nettare che può alleviare le ferite di altri, quelle della carne viva e pulsante di Anime colme d'amore.

Com-passione. 

Viva.

Starci assieme in quel tumulto di dolore.

Che le urla sono spesso così forti da volerti far gettare la spugna, dichiarare KO, lasciare perdere.
Ma non puoi, perché il pulsare della vita ci chiede di andare avanti, di esserci anche quando le sfumature si fanno torbide, e le sabbie mobili infide.

Il rumore di quei passi che rimbombano.

E a volte non sai come fare, e allora semplicemente fai.

E ti senti avvinghiare da quei fanghi infidi, pronti a trascinare anche te in quell'oblio. E sfoderi tutte le armi che hai, e acchiappi ogni appiglio, evoluzioni per sfuggire e portarci tutti in salvo. Da quell'altra parte. 

E quando sarai là, un solo mantra:

"Healer heal thyself."

È ora.