lunedì 22 settembre 2014

Food-issues o consapevole libertà?

Sai quando hai un argomento che ti frulla in testa, e vorresti metterlo giù a parole, in un modo consono, accattivante e comprensibile, e più ci provi più il tutto risulta inchiodato e stucchevole? E non è che puoi abbandonare, perché in fondo è una cosa che vorresti condividere, ci vedi del potenziale di interesse e comunque ti piacerebbe scriverne. E giri, rigiri, provi e riprovi, ma non trovi quell'incipit, quello slancio che ti è proprio. Ecco, a quel punto ti restano due vie, come blogger: desistere (e rimandare a tempi migliori) oppure scrivere di getto, con buona pace dello stile e della consecutio temporis. 
Così, oggi si parla di alimentazione. Del nostro rapporto col cibo. Di quel rapporto sotto i riflettori per molte ragioni (dalle patologie - allarmanti e diffuse - legate a disagi psichici, alle questioni relative a OGM, carne bombata di ormoni e similari, alle scelte di diete vegan, paleo, crudiste...) e che per molti rappresenta quotidianamente una sfida, si tratti di questioni dietetiche, estetiche, di allergie o  di intolleranze alimentari.
Insomma, il cibo nell'epoca dei "foodies" è al centro dell'attenzione. Così può accadere che una cara amica ti osservi e ti dica: "Tu hai un rapporto controverso col cibo." E tu resti di stucco. Io? Io che mangio in serenità quel che mi va, che non ho particolari intolleranze, che amo cucinare, che da quando ho memoria non ho avuto un problema di peso (sovra- o sotto-), che in famiglia sono la "nutrizionista" di riferimento? Io? Rapporto controverso? 
Approfondiamo, e lei spiega: "Sai, ci sono persone che sono disinteressate al cibo, mangiano perché devono, altre che lo venerano, altre ancora che regolarmente si abbuffano. Tu invece oscilli, a volte sembra interessarti e appassionarti, altre volte no, a volte mangi dolci di ogni tipo, altre un'insalata o poco più, tipo curva sinusoidale...".
E allora capisco. E capisco anche che ormai ci hanno talmente abituati a considerare regolarità e uniformità di comportamento come normalità, che il mio muovermi con libertà e scioltezza quando di tratta si nutrirsi, appare sconclusionato e sintomo di un rapporto problematico col cibo. Per carità, in alcuni casi può anche essere che un atteggiamento del genere sottenda un disagio. 
Ma anche no. Quanto meno non nel mio e, credo, nemmeno nel caso di molte altre persone.
Riflettiamo: cos'è il cibo? Il cibo è il nostro carburante, una delle nostre fonti primarie di prana, di energia, insieme al respiro (tralasciamo qui di menzionare le altre fonti di energia, più sottili e che spesso agiscono nella nostra totale inconsapevolezza). Mangiamo per nutrirci, per poter mantenere il nostro corpo in salute, per poter compiere le nostre attività con la giusta carica e un'adeguata riserva di energia. E il nostro dispendio di energia, come ci insegna mirabilmente l'ayurveda (l'antica scienza indiana della vita)*, dipende sì dalla nostra particolare e unica costituzione fisica (prakriti), ma non solo. Anche l'ambiente ha un ruolo fondamentale. E intendo l'ambiente in senso lato: il dove ci troviamo, il come e con chi, ma anche il quando. La stagione, ad esempio, ha un impatto fondamentale sui nostri processi corporei, soprattutto alle nostre latitudini in cui c'è grande variabilità climatica, implicando che, nel corso del tempo, il nostro corpo debba adattare al clima (caldo, secco, umido, freddo etc.) le sue modalità di mantenimento dell'omeostasi interna e del conseguente stato di benessere. E "stato" è una parola grossa, perché la vita è intrinsecamente un processo dinamico, e quindi anche l'equilibrio (che in questo contesto possiamo usare come sinonimo di benessere) è un processo naturalmente dinamico.
Quindi?
Quindi chi l'ha detto che avere un rapporto "liberamente fluttuante" (nei limiti della ragionevolezza!) con l'alimentazione sia problematico? E se si trattasse invece, della capacità del corpo di scegliere giorno per giorno, momento per momento ciò che è bene per lui? 
Parlo della mia esperienza, e posso confermare che è così. Nel mio caso, almeno. Il mio è infatti un approccio al cibo totalmente consapevole e cosciente. Volutamente non prestabilisco in modo rigido il mio stile di alimentazione, che è per sua natura molto vario. Posso dire che in generale non mangio altro che frutta prima delle 11, che tendo a seguire una dieta semi-vegetariana (il pesce fa parte abituale della mia dieta), che da sempre la merenda del pomeriggio è un must, e che non amo abbuffarmi. Ma posso anche dire che: mi piacciono i dolci (tanto); cappuccino e brioche sono una grande invenzione; se mi invitano a cena e ci sono salumi o ragù non mi formalizzo; il vino è cosa buona e giusta (nei limiti!); e, nel contempo, tendo a rispettare il mio adorato #VeganMonday (tradotto: di lunedì nessun alimento di origine animale, nessuno). Ho un rapporto controverso col cibo?
No. Esploro, sperimento (come nel caso del #VeganMonday o del "solo frutta fino alle 11": ho provato, per curiosità, e ho poi mantenuto l'abitudine per gli enormi benefici che ne traggo), e soprattutto ascolto. Ascolto il mio corpo, la mia mente, le mie emozioni: come sto? cosa mi serve? E di conseguenza mi alimento, nel "qui e ora" delle mie esigenze. E così, se come sabato pomeriggio mi sento debole, il cupcake con il Mars (giuro, una bomba chimico-calorica di cacao, farcita dentro e fuori di Mars, ma veramente ottima) diviene un booster di energie prezioso; e se dopo una mela a colazione e due ore di insegnamento di yoga, mi mangio quattro tranci di pizza, non mi considero "out of control" ma anzi in piena consapevolezza che, sì, un simpatico reintegro di carboidrati ci sta proprio.
Che poi, in fondo, è ciò che è bene fare anche quando si pratica, e sopratutto, quando si propone in qualità di insegnante, una pratica yoga: a seconda dell'orario, del periodo dell'anno e dell'energia della "sala" (intesa come energia delle persone che praticano con noi) ci sono sequenze e asana più o meno appropriate, si opta per vinyasa più solari o più lunari, si offre un'esperienza il più possibile in sintonia con il "qui e ora". Energia che si muove, sempre, così come nella pratica così  nell'alimentazione.
Ovviamente ci sono persone che necessitano di diete più rigide e programmate, per vari motivi, ed è bene che le seguano con rispetto e con perseveranza. Ma in base alla mia esperienza, e a quella di altri con cui ho condiviso queste riflessioni, mi sento anche di dire che nel momento in cui si porta la consapevolezza nelle proprie scelte, anche e in primis in quelle alimentari, la necessità di regole ferree viene meno. Il consapevole ascolto del corpo ci fornisce tutte le indicazioni per orientarci e scegliere la qualità dell'energia di cui necessitiamo in quel momento: un frutto, leggero e vitaminico? zuccheri semplici perché per questa volta abbiamo bisogno di extrapower? siamo con amici e chisseneimporta al salame per una volta non si dice di no? Un mio stimato insegnante di yoga, che avevo conosciuto come strettamente vegetariano fino ad allora, una sera a cena mi dice: "Io mi sa che ordino una tagliata. Sento che il mio corpo necessita ora di proteine animali." Ed eccezionalmente gliele ha concesse.
Anni fa, dopo un lungo viaggio in pullman per andare in gita scolastica, arrivai a destinazione con una gran nausea. Non passò per due giorni. Poi, il terzo pomeriggio, camminando casualmente davanti a una gelateria, mi fermo e dico alla maestra: "ecco cosa mi ci vuole: un gelato al mirtillo." La maestra era perplessa, con la nausea non le pareva una buona idea. Lo comprai, lo mangiai. E stetti subito bene, niente più nausea, solo benessere. Da quel giorno non ho mai smesso di ascoltare il mio corpo, e, possibilmente, di dargli ciò di cui ha bisogno.
Qualche anno fa, in un periodo di forte stress, iniziai ad avere i sintomi di un'intolleranza al lattosio. Feci tutti gli esami clinici, ma non emerse nulla di significativo. Certamente i miei disturbi avevano un'origine psicosomatica, ma altrettanto certamente erano accentuati dai latticini, che avevo sempre digerito senza problemi. Mi posi in ascolto. Mi resi conto di aver cercato di ignorare per troppo tempo il reclamo del mio corpo, e di aver testardamente cercato di "coccolarmi" con quei cappuccini e con quei biscotti che erano, in quel momento, il mio comfort-food. Ma lo erano solo per la mente, il corpo reclamava. Lo ascoltai, e iniziai un periodo di "disintossicazione" dal lattosio, e solo quando mi sentii meglio reintrodussi pian piano formaggi e similari. Fu un periodo importante: capii molte cose di me stessa e dell'imbuto emotivo in cui mi ero cacciata, e compresi ancora meglio di prima il potere di autoguarigione del corpo, che si innesca quando davvero e consapevolmente ci mettiamo in ascolto.
Certo, talvolta mi accade di essere incauta, e allora magari anche io eccedo, nel dare o nel sottrarre, ma è la vita, è umano, è comprensibile. Ma poi la consapevolezza torna a far luce, e in pochi momenti l'equilibrio è ristabilito, e si ritorna nel flow, energia che si nutre liberamente e coscientemente di energia, in quel continuo moto di cambiamento che è la vita.



*L'ayurveda è una mirabile, complessa e vastissima scienza, la cui conoscenza richiede anni di approfonditi studi. Il suo richiamo in questa sede è puramente generico e riferito ai tre dosha (kapha, pitta e vata), le energie vitali che, tra l'altro, permeano il corpo fisico e predominano nelle diverse stagioni, dando luogo a specifici accorgimenti per il mantenimento di un salutare equilibrio.