venerdì 8 febbraio 2013

White Collar, le illusioni e le neuroscienze

Qualche sera fa guardavo un episodio della serie televisiva "White Collar". I protagonisti, Neal Caffrey e Peter Burke insieme all'impareggiabile Mozzie escogitano e mettono in atto un piano per incastrare e arrestare un ricercatissimo, astuto e scafato criminale. Il piano è tutto basato sul far girare delle voci inveritiere e creare l'illusione che invece siano reali. E' questa la parte fondamentale per la riuscita del piano: le voci, il sentito dire devono trovare riscontro nella realtà, in qualcosa di realmente percepibile, visibile. E con la loro maestria nell'allestire scenari e creare illusioni, semplicemente posizionando delle valigie chiuse (e vuote!) in una stanza, e svuotandola degli oggetti di valore, a loro volta ben riposti in scatoloni in bella vista... voilà, agli occhi di tutti il famoso criminale era "davvero"in fuga, nonostante la sua insistenza a negare l'evidenza e a conferma invece delle voci udite in giro.
Quotidianamente ognuno di noi da ascolto alle voci, interne o esterne, e legge la realtà sulla base più di quel che crede o pensa di vedere, piuttosto che sulla base di ciò che realmente c'è.
La nostra percezione degli stimoli ambientali si svolge infatti in due modi: con un processo "bottom-up" e un processo "top-down". Nel primo dei due processi, i sistemi sensoriali inviano al cervello gli stimoli percepiti nell'ambiente per l'elaborazione, nel secondo è il cervello che guida la percezione degli input sulla base di quando già conosce, di quanto ha già appreso in passato. Questa doppia modalità di elaborazione degli stimoli ha di per sé una funzione importante e adattiva: ci consente di percepire più velocemente, di riconoscere prima nutrimento o pericolo, di non sprecare energia e tempo per riealaborare ogni volta lo stimolo solo in modalità bottom-up, ma potendo far tesoro dell'esperienza.
Il sistema complessivo però non è infallibile, e, soprattutto, in alcuni casi ci porta non solo a limitare il nostro campo percettivo, ma a male interpretare gli stimoli ambientali, aggiungendo finanche aspetti che nello stimolo non sono presenti ma che noi pensiamo, consciamente o meno, che invece ci siano.
Un esempio affascinante di come questa operazione di completamento della realtà compiuta dal nostro cervello sia connaturale e continua è dato dalla visione. Nella nostra retina c'è un punto, chiamato disco ottico, in cui non sono presenti fotorecettori (le cellule che convertono le radiazioni elettromagnetiche provenienti dall'ambiente in segnale nervoso da inviare al cervello), perché da quel punto dipartono le fibre che si allontanano dalla retina confluendo nel nervo ottico e che trasmettono gli impulsi visivi al cervello. E' un punto cieco, e come tale a rigore dovrebbe essere esperito anche da noi: nel nostro campo visivo dovrebbe esserci un punto privo di immagine. Ma non è così. E non lo è perchè il nostro cervello, continuamente quando stiamo guardando, riempie lo spazio vuoto in corrispondenza del disco ottico con quello che, stando al resto dell'immagine perepita, verosimilmente dovrebbe esserci in quel punto. Verosimilmente...
Prendere coscienza di questo meccanismo, che ha sicuramente un suo senso e un suo fine adattivo, ci consente di comprendere come davvero il nostro cervello, con le migliori intenzioni, guidi il nostro modo di percepire la realtà. Sono innumerevoli gli esperimenti condotti in questo campo per le diverse modalità sensoriali, addirittura si possono curare sintomi importanti sfruttando il potere dell'illusione, facendo credere cose al cervello sulla base della sua capacità di costruire realtà da elementi percettivi di per sé ambigui.
Se questo accade per il tatto e per la visione, che possono apparire come sensi "oggettivi", non è difficile comprendere come tutto ciò possa avvenire, e di fatto avvenga, quando si tratta di elaborare circostanze più complesse, di interagire nelle conversazioni, di compiere valutazioni, di comprendere relazioni.
Essere consapevoli di come sia spontaneo per il nostro cervello compiere questo tipo di operazioni ci consente maggiore libertà, come sempre avviene quando si acquisisce consapevolezza. Sì, perché prendere coscienza di questi meccanismi innati ci permette di mettere in dubbio ciò che vediamo, o meglio ciò che ci sembra di vedere, di prenderci il tempo e lo spazio per guardare o ascoltare o toccare o gustare o annusare meglio, per osservare i nostri pensieri, per non farci trascinare dalle nostre idee preconcette o dalle esperienze immagazzinate nella nostra memoria, ma per guardare con occhi sempre nuovi, con la mente aperta, vuota. Con la mente del principiante, per dirla con Shunryu Suzuki, quella mente che consente la corretta e giusta percezione. Così da non farci irretire, come nell'episodio di White Collar, da illusioni sapientemente precostituite che potrebbero trarci in inganno.