venerdì 16 gennaio 2015

Il salto nel vuoto, il cambiamento radicale, quello spaventa di brutto. Anche chi ci sta accanto mentre spicchiamo il volo...


In questi giorni sto condividendo e accogliendo i timori e le ansie di un'amica, donna deliziosa, capace e intraprendente, di qualche anno più giovane di me, di fronte a quel salto quantico che è un cambio radicale di vita. Ansie e timori legati a ciò che verrà, ma anche fortemente alimentati dalle resistenze e dalla contrarietà di alcune tra le persone a lei più vicine e care. Lei è convinta, decisa più che mai, e a mio parere votata necessariamente al successo per le sue qualità personali e per il fuoco che arde in lei, ma le resistenze e la contrarietà si fanno sentire. E non è facile.
E mi sono così sorpresa a pensare a quanto sia comune tutto ciò, a come sia spesso (e non sempre, perché le generalizzazioni non hanno senso) qualcosa che abbiamo sperimentato in molti, noi che abbiamo volontariamente stravolto la nostra vita.
Non sono solo i genitori, che magari ci hanno caricato di aspettative e che temono per il nostro futuro in modo viscerale e talvolta spaventato, ma anche gli amici, soprattutto quelli di sempre, della scuola o dell'università. Quelli per i quali sei sempre stata l'avvocato e capo del personale che conduce trattative sindacali, che scrive contratti blindati, che istruisce cause in tribunale, che commina sanzioni disciplinari, che aveva una carriera anche importante dispiegata davanti a sé... e che non si capacitano. Non si capacitano non tanto che tu abbia lasciato tutto, che abbia intrapreso un percorso nuovo, diverso, quanto del fatto che tu quella cosa "nuova", quello che pareva un passatempo lo abbia convertito - in un blog, in un'attività di insegnamento, in un progetto in crescita. Ti vogliono bene, lo sai e lo senti. Ci sono, li vedi, ci parli. Ma avverti quel senso come di imbarazzo quando si lambisce l'argomento.
Al momento lascia perplessi, è vero. Poi guardi meglio e comprendi. Vogliamo chiamarla tecnicamente "proiezione" o "identificazione"? Oppure una più discorsiva e prosaica "fifa blu"? Paura. Paura del nuovo? Mica tanto. Come ripete sempre il mio Maestro, non è tanto la paura del nuovo. È la paura di lasciare il conosciuto per il nuovo, quella è la paura vera. Perché se il nuovo si aggiunge al conosciuto, stiam tutti bene... ma il salto nel vuoto, il cambiamento radicale, quello spaventa di brutto.
E quindi, e penso anche alla mia amica, manteniamo il cuore morbido e accogliente con chi ci ama e nel contempo ci pare distante mentre compiamo il salto. Non è che non ci sono, non è che sono invidiosi o disfattisti. Probabilmente no (sempre per non generalizzare). Hanno paura, forse. Di perdere te, come ti hanno sempre conosciuto, ciò che sei e rappresenti per loro. Di perdere anche un po' se stessi, come si sono sempre rapportati con te, ciò che sono e rappresentano per te. (E forse anche di confrontarsi con le loro scelte, passate, presenti e future, chissà.)
Accogli questi timori, questa titubanza. Sono umani e sacrosanti, e chissà quante volte li hai provati anche tu, consapevolmente o meno. Diamo tempo, così come lo abbiamo dato a noi stessi (perché gli stravolgimenti volontari di vita raramente sono frutto dell'impulso e molto spesso invece sono covati e nutriti a lungo nel segreto profondo della nostra anima), diamo quel tempo anche a chi ci ama e vede (potenzialmente) stravolto il rapporto con noi. Tempo. Amore. Cuore. Pazienza. Ascolto. Presenza. Respiro.