lunedì 17 novembre 2014

Perché centrarsi non è tutto.

Sto attraversando settimane difficili. Non gravi, ma impegnative, in cui tutti i programmi sono saltati, in cui ci si deve riorganizzare, in cui l'assistenza da garantire ad altre persone si è posta in primo piano, in cui ci sono stati stravolgimenti fisici ed emotivi. Un periodo turbolento, che durerà ancora parecchio tempo. E sto attraversando questo periodo con grazia e con l'aiuto fattivo e morale di molte persone che ci sono, ognuno a modo suo, nelle infinite declinazioni che l'amore, la solidarietà e l'empatia sanno esprimere, un caleidoscopio di parole, messaggi, abbracci, presenza, gesti, cose, pensieri, azioni. La presenza, l'esserci, che ci rende così umani, che ci unisce, che ci fa forti, insieme.
E sono grata di tanta bellezza, di ogni sfumatura che il cuore umano sa dipingere, di ogni sorriso, sguardo ed emoticon.
Ma in mezzo a tanta soffice presenza, si notano anche delle assenze, dei vuoti, dei silenzi, dell'indifferenza, di persone che non credevi. Non credevi, non tanto per il rapporto che intercorre (le relazioni, si sa, spesso sono intrise di soggettività, di aspettative, di illusioni, di convenienze, di apparenze, di mezze verità),  ma per ciò che queste persone praticano e professano. Quotidianamente.
Eppure. Eppure, per strano che sia, è così.
E allora ti trovi a riflettere, sulla centratura, sul non attaccamento, sul vivere nel qui e ora, sul momento presente, sull'ascolto interiore. Le pratichi e le insegni anche tu, tutte queste cose, ti ci ispiri nel tuo essere, nel tuo fare, nel tuo scrivere su questo blog. Sono cose in cui credi, di cui hai sperimentato la potenza, la rilevanza, la verità. Eppure. Eppure manca un pezzo. Perché se centrarci, vivere nel presente, non attaccarci a niente e nessuno, si traducono in anestesia emozionale, in mancanza di empatia e di coinvolgimento, in incapacità di esprimere gesti di presenza e di affetto, di tatto e di partecipazione (o almeno di comprensione), forse ci si è persi per strada qualcosa.
Quel qualcosa che è intrinseco al nostro essere umani: il sentimento, l'emozione, l'amore vero e incondizionato. L'Amore per noi, per noi esseri umani, che viviamo, quotidianamente respiriamo su questo pianeta, quotidianamente manifestiamo la ricchezza del nostro mondo interiore, quotidianamente interagiamo, quotidianamente ci esprimiamo, ognuno nel modo e nel linguaggio che gli è proprio, quotidianamente viviamo attimi, attimi che sono un eterno presente, che tuttavia tessono la trama di una vita, in cui si svolgono e si svelano sogni, pensieri, emozioni, paure, speranze. E pur restando centrati, distaccati, radicati nel "qui e ora" questo è ciò che succede tutto intorno a noi, le cose accadono, le persone vivono, sperano, gioiscono, soffrono, fanno fatica, cercano appigli, lavorano. Tendere una mano, offrire un sorriso, scrivere un messaggio, scambiare uno sguardo... sono tutte espressioni della nostra umanità. 
Centrarsi, allora, è sì importante, ma non è tutto. Centrarsi è una dimensione individuale, essenziale, difficile, ma se fine a se stessa, diviene sterile, ci rinchiude in una bolla che rischia di rasentare l'indifferenza. Se il nostro essere centrati diviene sinonimo di chiusura, se restare in quella dimensione di non attaccamento ci rende distanti dalla vita che pulsa, dall'universo di anime intorno a noi che vive e che si esprime, se ciò accade, saremo magari sereni e imperturbabili, ma sterili. Sarà uno sterile passaggio il nostro, incapace di nutrire altre vite, di scambio consapevole di energia, di condivisione. Aprire il cuore, essere interessati all'altro, offrire la nostra presenza, esserci... tutto questo è nutrimento vero, per gli altri, per noi, per tutti.

Namasté.